La recente caduta del governo francese, innescata da un'impopolare proposta di bilancio volta a tagliare la spesa per 40 miliardi di euro, non è una semplice crisi politica. È, piuttosto, il sintomo di un malessere profondo che affligge le finanze di Parigi e che ruota attorno a una parola tanto evocata quanto complessa: sostenibilità. La domanda che aleggia nei palazzi del potere come tra i cittadini è se la Francia sia ancora in grado di onorare il suo imponente debito pubblico.
Per comprendere la portata della sfida, è necessario partire dai numeri. Nel 2024, il debito pubblico francese ha raggiunto la cifra di circa 3.300 miliardi di euro. Un dato che, di per sé, può dire poco, ma che assume contorni più netti se rapportato alla ricchezza prodotta dal Paese in un anno, il famoso Prodotto Interno Lordo (PIL). Ebbene, tale rapporto si attesta oggi al 113%. In termini più semplici, significa che lo Stato e le amministrazioni pubbliche hanno accumulato un debito che supera l'intera ricchezza generata in Francia nell'arco di dodici mesi. Questa situazione, pur non essendo nuova, è aggravata da una dinamica preoccupante: il deficit pubblico. Con entrate previste per 535 miliardi di euro nel 2025 a fronte di spese per 673 miliardi, lo Stato si troverà a finanziare "a debito" ben il 20% della sua spesa. Ogni anno, questo squilibrio aggiunge nuove centinaia di miliardi al fardello già esistente, alimentando una spirale che solleva interrogativi sulla sua tenuta a lungo termine.
Qui emerge il vero nodo della questione. Parlare di "sostenibilità" di un debito non significa, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, che uno Stato debba essere in grado di ripagarlo interamente in un dato momento. Nessun Paese moderno lo fa. La sostenibilità è piuttosto la capacità di far fronte ai propri obblighi finanziari, spesso "rinnovando" il debito, ovvero chiedendo nuovi prestiti per rimborsare quelli in scadenza. La teoria economica ci offre una bussola per orientarci: un debito è generalmente considerato sotto controllo se la crescita economica del Paese è sufficientemente robusta da superare il peso combinato dei nuovi deficit e del tasso di interesse pagato sul debito esistente. Se l'economia cresce più velocemente di quanto non faccia il debito, il rapporto debito/PIL tende a scendere, anche se il valore assoluto del debito aumenta. Per decenni, la Francia non ha rispettato questa regola aurea, ma ha potuto beneficiare, specialmente negli anni Dieci del Duemila, di tassi d'interesse eccezionalmente bassi che hanno reso il fardello più leggero.
Ma allora, in pratica, cosa determina la sostenibilità oggi? Lo scenario è radicalmente cambiato. I modelli matematici lasciano il campo a un fattore molto più impalpabile e umano: la fiducia. Investitori, banche e fondi pensione presteranno denaro allo Stato francese solo se saranno convinti della sua capacità e, soprattutto, della sua volontà di ripagare. Questa fiducia si riflette direttamente nel tasso di interesse richiesto. Una perdita di credibilità si traduce in tassi più alti, che a loro volta rendono il debito ancora più oneroso e meno sostenibile, innescando un circolo vizioso potenzialmente devastante. I segnali d'allarme degli ultimi mesi, con l'instabilità politica al centro della scena, minano proprio questo pilastro. Il contestato piano di austerità, per quanto doloroso, va letto quindi come un tentativo dell'esecutivo di inviare un segnale di fermo impegno ai mercati: la Francia intende mantenere il controllo delle sue finanze. La vera sfida sarà dimostrare che la stabilità politica, presupposto essenziale per ogni ripresa, non è un'altra vittima di questa delicata partita.